Dal cornetto acustico ai dispositivi acustici digitali: la storia degli apparecchi acustici
Un buon udito in natura è di vitale importanza; fra gli esseri umani è almeno molto vantaggioso. Mezzi efficaci per compensare la perdita dell’udito sono disponibili da un tempo relativamente breve, tuttavia da quel momento la loro tecnologia ha compiuto passi da gigante.
La tromba acustica
La perdita e i disturbi dell’udito congeniti o acquisiti nel tempo non sono solamente un problema dei tempi moderni: il pittore Francisco de Goya, l’inventore Thomas Edison e lo scrittore Oscar Wilde soffrivano di disturbi dell’udito proprio come i compositori Ludwig van Beethoven e Bedřich Smetana.
Il più antico strumento utilizzato come aiuto acustico è il corno. La prima prova concreta dell’utilizzo di imbuti amplificatori risale già al II secolo. Ma solo a partire dal XVIII secolo si diffusero le trombe acustiche lavorate a mano. Nel 1800 la ditta inglese Frederick C. Rein avviò la produzione commerciale di cornetti acustici in metallo. Rein & Son proseguì la sua attività fino al 1963.
Il primo apparecchio acustico elettrico
Il primo apparecchio acustico elettrico risale al 1877, quando Thomas Edison brevettò il microfono a carbone. Il componente utilizzato fino agli anni ’70 nei telefoni, convertiva il suono in segnali elettrici. Nel 1895 l’ingegnere Miller Reese Hutchison inventò il primo apparecchio acustico elettrico portatile che utilizzava il microfono a carbone. L’apparecchio acustico chiamato „Akoulathon“ costava 400 dollari, che corrisponde a un prezzo corrente di circa 11.000 dollari – solo una minoranza poteva permettersi il costoso corno acustico.
Poiché l'”Akoulathon” era ancora una scatola poco pratica, nel 1902 Hutchinson sviluppò „Acousticon“, un dispositivo portatile alimentato a batteria. Anche questo aiuto acustico elettrico era accessibile a pochi. L’ex regina d’Inghilterra fu una tra i primi utenti entusiasti.
Sentire attraverso i tubi
Un’altra pietra miliare nella storia degli apparecchi acustici fu l’invenzione del tubo a vuoto: con esso i segnali elettrici generati dal suono vennero amplificati per la prima volta in maniera efficiente. L’ingegnere navale Earl Hanson brevettò nel 1921 il “Vactuphone”: la combinazione di amplificatori valvolari, microfoni e auricolari rappresentava un’opzione anche in caso di ipoacusiagrave.
Con un peso di circa 3,5 chilogrammi, il nuovo apparecchio acustico tuttavia, era più pesante dei vecchi modelli senza tubi e, inoltre, un altro fattore di disturbo era il calore generato dalle apparecchiature. Presto si riuscì a miniaturizzare il tubo a vuoto e quindi ne seguì la costruzione di apparecchi acustici più leggeri da poter portare nella tasca della camicia o della giacca, tanto che nel 1930 divennero sempre più popolari.
Primi tentativi di migliorare anche la qualità dell’audio
I primi apparecchi acustici avevano un elevato fruscio. Ad eccezione di una regolazione manuale del volume, non vi era la possibilità di regolare l’amplificazione e la qualità del suono. I primi passi in questa direzione avvennero con gli apparecchi acustici dotati di controllo automatico del volume: un circuito integrato regolava il volume all’ingresso e garantiva così un livello di uscita uniforme.
Apparecchi acustici a transistor: verso la tecnologia microelettronica
L’invenzione del transistor negli anni ’40 pose le basi per apparecchi acustici con una maggiore durata della batteria, cosa che li rese più facilmente commerciabili. Batterie più piccole e microfoni a carbone altrettanto miniaturizzati aumentarono la facilità di utilizzo degli apparecchi acustici moderni. Il „Sonotone 1010“, il primo apparecchio acustico commerciale con i transistor, venne introdotto nel 1952.
Nel 1958 si diffuse una nuova tecnologia che avrebbe cambiato il mondo grazie ai primi circuiti semplici integrati. Circuiti più complessi con molti transistor vennero presto applicati a piastre semiconduttrici; i dispositivi elettronici divennero così molto più potenti, maneggevoli ed economici.
Gli apparecchi acustici diventano digitali
Il requisito per il progresso della protesi acustica dal semplice amplificatore audio al piccolo computer a elevate prestazioni fu lo sviluppo del microprocessore. L’installazione di tutti i componenti di un processore su un singolo circuito integrato fu possibile agli inizi degli anni ’70.
Nel 1982 uscì finalmente sul mercato il primo processore digitale. Grazie al microprocessore, ottimizzato per l’elaborazione del segnale in tempo reale, fu possibile ottenere in uno spazio molto ristretto, una potenza di calcolo sufficiente per l’analisi e l’ottimizzazione sia della lingua che del segnale audio all’interno dei dispositivi portatili.
Il progetto Phoenix, una joint venture tra l’Università del Wisconsin e il produttore di medicina elettronica Nicolet Instrument Corporation, perseguì l’obiettivo di utilizzare la nuova tecnologia digitale per gli apparecchi acustici programmabili. Nel 1988 fu introdotto il primo apparecchio acustico con processore di segnale digitale.
Gli apparecchi acustici oggi
Phoenix precorreva comunque di pochi anni i suoi tempi. Presto i produttori entrarono in competizione per creare apparecchi acustici tanto potenti quanto discreti. Dal momento in cui il presidente americano Ronald Reagan si presentò in pubblico con un apparecchio acustico endoauricolare (ITE) su misura, aumentò enormemente l’accettazione degli apparecchi acustici.
Oggigiorno i moderni dispositivi sono ancora più piccoli e potenti che mai. Essi analizzano i segnali audio e si adeguano a quasi ogni tipo di situazione acustica. Filtrano fruscii e rumori di fondo, amplificano in modo selettivo e aumentano la qualità del suono in caso di necessità. I dispositivi acustici si connettono con i telefoni cellulari e con dispositivi di elettronica di consumo e garantiscono un’ottima esperienza d’ascolto.
Cosa ci riserva il futuro?
Il futuro promette progressi su più fronti, sia per gli apparecchi acustici, che per la ricerca di una cura per l’ipoacusia. Cellule sensoriali morte all’interno dell’orecchio, oggi irrimediabilmente perdute, potrebbero essere rigenerate un giorno grazie alle cellule staminali.
L’utopia, di cui arrivano già i primi riscontri dal Massachusetts Institute of Technology, è rappresentata dagli impianti cocleari completamente autosufficienti con batterie bio che si ricaricano attraverso i processi elettrici nel corpo.
E presto i non udenti beneficeranno probabilmente della prima “lente a contatto per l’orecchio”: la lente uditiva trasmette informazioni acustiche via laser a un trasduttore vibrante che si trova direttamente sul timpano. Il dispositivo può essere portato per quattro mesi alla volta e dovrebbe inoltre migliorare la comprensione del parlato.